La Chiesa ortodossa romena in Italia, nell’ottica della geografia storico-religiosa

Lo scorso anno la casa editrice romana Viella ha pubblicato il volume La Chiesa ortodossa romena in Italia. Per una geografia storico-religiosa, di Maria Chiara Giorda (Roma, Viella, 2023). L’autrice insegna Storia delle religioni all’Università Roma Tre e ha pubblicato numerosi altri lavori, principalmente incentrati sullo studio delle pratiche religiose contemporanee e sul rapporto tra sacro e profano nel contesto della tarda modernità e della società post-industriale. Il sottotitolo del volume che presentiamo, Per una geografia storico-religiosa, è eloquente per l’approccio interdisciplinare che l’autrice ha utilizzato con successo qui e in altri contributi: la geografia delle religioni, il rapporto tra religione e spazio urbano, la diversità religiosa nel contesto contemporaneo. Il libro si apre con una sezione teorica e metodologica, in cui l’autrice espone la genealogia in cui si inscrive il suo lavoro più recente: l’approccio Spatial Turn, che ha segnato le scienze umanistiche a partire dagli anni ‘70, attraverso i contributi di autori come Michel Foucault, Henri Lefebvre, Michel de Certeau; si aggiungano anche gli sviluppi successivi del Material Turn e del Visual Turn (si noti che la bibliografia consultata è aggiornata, con pochi titoli pubblicati prima del 2000). Va menzionato anche il lavoro dei geografi postmoderni negli anni ‘90, in parte dovuto allo sviluppo dei metodi quantitativi e dei GIS (Geographic Information Systems): Edward Soja, David Harvey, Rob Shields, ecc.

Si tratta di un libro molto denso e le analisi interdisciplinari sono molto approfondite, con un fondamento teorico solido. In generale, la stesura di un lavoro interdisciplinare è molto laboriosa, in quanto richiede particolari competenze autoriali, ma soprattutto l’assimilazione e la padronanza di bibliografie provenienti da diversi ambiti (in questo caso geografia, storia delle religioni, sociologia, filosofia, ecc.)

Si ritiene generalmente che l’immigrazione romena in Italia sia iniziata negli anni ’70 per motivi socio-politici. Dopo il 2007 e l’adesione della Romania all’Unione Europea, il fenomeno si è intensificato, tanto che la minoranza romena in Italia ha superato il milione di persone, collocandosi al primo posto tra le altre minoranze di immigrati.

Per motivi pratici o spirituali, buona parte di questa popolazione migrante ha necessitato della presenza di chiese ortodosse romene come luoghi in cui celebrare il culto cristiano ortodosso e tutti i riti di passaggio per i membri di tali comunità (battesimo, matrimonio, sepoltura). L’autrice classifica i quattro modi in cui questi luoghi di culto sono stati istituiti (sostituzione di quelli di rito cattolico; utilizzo alternativo di uno spazio comune, con il rito cattolico o con altre religioni; cambio di destinazione d’uso di uno spazio esistente, ma che prima non era un luogo di culto; costruzione ex novo). L’istituzione di luoghi di culto è avvenuta dall’alto verso il basso, attraverso l’intervento delle autorità ecclesiastiche, o dal basso verso l’alto, attraverso le richieste dei membri della comunità, per i motivi sopra citati.

Tutto questo processo fa parte del più ampio fenomeno della diffusione della diversità religiosa nel contesto della globalizzazione e del multiculturalismo, attraverso la trasformazione delle relazioni di vicinanza, coesistenza, adattamento, identità, visibilità e così via. Dal punto di vista della geografia o della sociologia delle religioni, il fenomeno è particolarmente complesso, perché comporta l’incontro e la convivenza di religioni che fino a poco tempo fa entravano in contatto solo in forme quantitativamente insignificanti (missionari, viaggiatori, ecc.) o attraverso il conflitto e la sostituzione, nel caso di guerre, laiche o religiose, o in forme ibride. Lo spazio sacro, nel senso del rito ortodosso, viene così trapiantato o nel mezzo di una topografia urbana tradizionalmente cattolica o in aree periurbane o rurali, dove le comunità sono più piccole, permettendo il suo dispiegamento e aumentando la sua visibilità (in senso architettonico, ma anche dal punto di vista della geografia delle religioni). Il fenomeno può essere considerato sia dalla prospettiva autoctona della popolazione che vive in quel luogo da diverse generazioni e per la quale lo spazio in questione è uno spazio stratificato, denso di significati storici e culturali, per il quale esiste una memoria del luogo e una differenziazione qualitativa tra alcune aree di esso; simmetricamente, può essere considerato anche dalla prospettiva allogena della popolazione immigrata, per la quale il luogo è uno spazio lineare, indifferente rispetto alla sua memoria affettiva (l’immigrato comune sa che il luogo ha una memoria storica e culturale, ma queste rimangono in qualche modo esterne a lui, se non è interessato al processo di acculturazione). A parte ciò, queste comunità, indigene e non indigene, sono costrette a convivere e a negoziare la loro divisione simbolica dello spazio, soprattutto dello spazio sacro.

L’opera è articolata in sei capitoli. Nel primo di essi, l’autrice ripercorre le tappe principali della storia dell’ortodossia romena in Italia: dall’ inaugurazione della prima parrocchia a Milano nel 1974 (oggi sono più di trecento) all’istituzione della diocesi ortodossa romena in Italia nel 2008. Altri due momenti chiave sono stati la visita di Papa Giovanni Paolo II a Bucarest nel 1999 e quella del Patriarca Teoctist a Roma nel 2002.

Il secondo capitolo analizza la “presenza” di queste parrocchie ortodosse romene nello spazio italiano, attraverso i concetti di visibilità e materialità, entrambi strettamente legati ai processi di soggettivazione e oggettivazione dell’Altro o dell’alterità. Il capitolo è affascinante dal punto di vista concettuale e metodologico, in quanto l’autrice riesce ad applicare con successo i contributi teorici di altre ricerche, incentrate su temi più generali, al tema di ricerca del suo libro, la Chiesa ortodossa romena in Italia. Attraverso un insieme di concetti più recenti (performancesoundscapesmellscape, ecc.), ma anche tramite l’analisi dell’interno della chiesa ortodossa, ricostruendo il modo in cui lo spazio visivo è gerarchizzato e organizzato, l’autrice ci offre una visione complessa delle modalità di produzione dello spazio sacro e della sovrastimolazione sensoriale durante la liturgia cristiana ortodossa.

Il terzo capitolo esplora i modi in cui il culto ortodosso condivide lo spazio con il culto cattolico, nel senso di una dinamica religiosa, sincronica o diacronica, di coesistenza o di sostituzione. Vengono presentati e analizzati numerosi casi particolari, che riflettono la diversità delle forme di adattamento all’interno di questa nuova dinamica religiosa. I casi di studio sono accompagnati da numerose mappe, piante architettoniche, immagini rilevanti e così via.

Il quarto capitolo è dedicato al processo attraverso il quale il culto ortodosso sostituisce gli spazi cattolici o secolari, e vengono presentati alcuni casi particolari, come nel capitolo precedente. In effetti, i casi di studio sono accuratamente documentati, presentati in modo esauriente e oggettivo, e costituiscono la parte più importante del contenuto del libro.

Il quinto capitolo è dedicato alle costruzioni ex novo, mentre il sesto presenta gli otto monasteri ortodossi romeni fondati in Italia.

In conclusione, si tratta di un libro molto importante e molto attuale, sia per l’argomento trattato che per la sua metodologia e bibliografia, che sintetizza praticamente gli sviluppi più recenti nei campi che ho citato all’inizio di questa recensione (geografia delle religioni, rapporto tra religione e spazio urbano, diversità religiosa nel contesto contemporaneo). Sarebbe un’ottima idea tradurre il libro in romeno, poiché è un modello di ricerca interdisciplinare che potrebbe essere seguito dai ricercatori del nostro Paese, sia quelli con esperienza che quelli all’inizio della loro carriera.

Gabriel Badea

Istituto di Storia e Teorie Letterarie ‘G. Calinescu’

Accademia Romena