Ricordo di Renato Del Ponte

STEFANO BIANCHi

Ricordo di Renato Del Ponte

[da Diritto @ Storia, 19,2022]

Renato Del Ponte  (Lodi, 21 dicembre 1944 – Fivizzano, 6 febbraio 2023) è stato una figura importante di studioso della religione romana e italica e dell’esotersimo.

E’ stato membro della Società italiana di storia delle religioni. 

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Italia omnium terrarum alumna eadem et parens. – 3. Omnia namque post religione ponenda semper nostra civitas. – 4. Pietate ac religione omnis gentis nationesque superavimus.

1. – Premessa

Nelle prime ore del 6 febbraio 2023, poco dopo il conticinium,la fase della notte in cui nessuna attività umana è permessa perché essa volge subitaneamente al silentium augurale che precede il sorgere dell’aurora, Renato Del Ponte, all’età di 78 anni, ha lasciato la sua esistenza terrena, per raggiungere i suoi avi. Pur essendo nato a Lodi, a causa del temporaneo sfollamento dovuto agli eventi bellici della famiglia d’origine, Renato Del Ponte fu sempre legato a Genova – il padre, Augusto Del Ponte, è stato eccellente capitano di mare e navigatore, ultimo a doppiare Capo Horn con bastimento a vele – ove aveva intrapreso gli studi classici presso il prestigioso liceo D’Oria, per poi conseguire la laurea con una tesi dedicata all’edizione critica e commento, in ambito medievista, del Tractatus de potestate summi Pontificis di Guglielmo da Sarzano[1]. Come creatore e direttore della rivista “Arthos“, cadendo quest’anno la ricorrenza del cinquantesimo anno della sua fondazione, fu, per tutta la vita, indefesso cultore e studioso dei valori espressi dalle civiltà tradizionali. Sebbene ispirato alle idee e opere di Julius Evola, il pensiero di Renato Del Ponte non può essere racchiuso in rigide e anguste pareti, giacché lo studioso genovese seppe andare oltre ogni schematismo, per intraprendere un percorso di studio che lo portò ad approfondire, in modo del tutto originario e originale, il mondo della religiosità italica e romana. Trasferitosi in Lunigiana, a Pontremoli, (dove insegnò lingua italiana e lingua latina in istituti della scuola media superiore) si possono datare alla fine degli anni settanta le prime tracce di quell’approfondimento: formidabile conoscitore dell’opera di Virgilio – ch’egli poteva citare facilmente a memoria – si era interessato ai Saturnalia di Macrobio, lungo tal via, iniziando a esplorare il tardo-antico e indirizzando, dapprima, il suo interesse verso le figure degli ultimi rappresentanti del mondo religioso e civico tradizionale romano, Vettio Agorio Pretestato, Virio Nicomaco Flaviano e Quinto Aurelio Simmaco, di cui aveva tratteggiato pensiero e opera, traducendo e curando una bella edizione della celebre terza Relatio[2].

2. – Italia omnium terrarum alumna eadem et parens

Era poi venuto alla luce, Dei e miti italici. Archetipi e forme della sacralità romano-italica[3], incentrato sullo studio delle origines e causae della religiosità arcaica, interrompendosi il suo risguardo all’atto della fondazione romulea dell’Urbe. In quella prima ricerca, Renato Del Ponte, non solo aveva saputo recuperare i dati dalle fonti senza porre pregiudizi positivistici, ma aveva applicato in quell’ambito, più di ogni altro, il “metodo tradizionale” e in particolare ciò che può definirsi come l’uso generalizzato del principio d’induzione, qui da intendersi come sviluppo di una intuizione spirituale attraverso la quale si può realizzare l’unità di vari elementi in un principio unico. Mostrando una padronanza non comune del patrimonio degli antichi autori, con uno stile ricco ma essenziale, Renato Del Ponte aveva saputo coniugare i dati della tradizione con i risultati delle moderne ricerche in ambito interdisciplinare (storia, letteratura, filologia, archeologia, antropologia, giusromanistica e numismatica) precorrendo così una metodologia che troverà ampio risalto specie nel lavoro degli archeologi (ch’egli apprezzava massimamente, insieme ai giuristi) e che di lì a breve, grazie alle scoperte che mano a mano accumulava l’équipe condotta da Andrea Carandini, avrebbero finito con il confermare, sostanzialmente, i dati della tradizione, a partire dalla fondazione della civitas per mano di Romolo. Lo stesso Carandini, del resto, nel suo La nascita di Roma. Dèi, Lari, eroi e uomini all’alba di una civiltà aveva riconosciuto la bontà dei lavori dello studioso genovese, citando più volte le autorevoli conclusioni cui era giunto quest’ultimo e per ciò attirandosi gli strali del positivismo e dello storicismo più accesi: una circostanza che Renato Del Ponte soleva rammentare con ironia. Insomma egli aveva anticipato, quasi ante inventam, ciò che sarebbe apparso chiaro a molti in seguito: e cioè che dietro i miti sulle origini della tradizione romano-italica (Giano, Saturno, le primavere sacre italiche e le teofanie di Marte, attraverso cui si andò popolando la penisola italica, verso il suo centro) si celava un complesso unitario di valori e simboli che si traducevano spesso in storia, sottraendosi all’ambito puramente mitologico. Era così presente una doverosa correzione di molti luoghi comuni, con il recupero e la sublimazione delle tradizioni delle popolazioni non latine, senza più contrapposizioni o antagonismi, ma viste, piuttosto, in un’ottica già indicata dal Mazzarino – ossia quella di una koiné etrusco-italico-romana – nella quale le contingenti vicende umane, politiche e belliche, con la successiva conquista romana della penisola, non mutavano il quadro relativo a una originaria identità sacrale. Per Renato Del Ponte, la Terra Italia costituiva davvero un centro onfalico, ove homines e Dii coesistevano, determinandone il ruolo di “figlia e madre di tutte le terre” così come era ricordata in una celeberrima frase di Plinio, il Vecchio. Respingendo ogni pregiudizio storicistico, Romolo era così da considerare «non tanto ‘l’instauratore’ di un nuovo ordine, bensì come il ‘conservatore’ e ‘trasmettitore’ di un ordine antichissimo, riflesso di uno stato primordiale che un mandato ‘provvidenziale’ divino aveva voluto che giungesse sino a lui, sì che quella che noi abbiamo chiamato ‘epoca mitico-primordiale’ inaugurata dal primo re-dìo del Lazio, Saturno, con Romolo avesse il compimento»[4].

3. – Omnia namque post religione ponenda semper nostra civitas

A questo primo significativo lavoro era poi seguita, nel 1992, l’uscita de “La Religione dei Romani[5]. V’era molto in quell’opera che sarebbe emerso solo nelle riflessioni e tendenze più recenti: l’esplorazione della religione del civis romanus nell’ambito della casa, la presenza dell’esperienza del sacro nella sua vita privata, dalla nascita sino alla morte (e non più solo a livello politico o pubblico), come l’ampia, inedita, e per molti versi, pioneristica, ricerca sugli Dèi degli Indigitamenta o sui Dèi Lari, Penati e Mani. Questo interesse per il culto domestico, non poteva dirsi casuale, ma sorgeva anche da un’esperienza empirica personale: in questo senso, la sua visione del sentimento religioso romano (e giuridico-politico, entrambi strettamente connessi) liberava lo stesso da visioni riduttive (come quelle, non rare sino a qualche lustro fa, relative a un preteso animo arido e rozzo, proprio di grezzi pastori o poco più) o da facili mimetismi e contaminazioni con il mondo greco e orientale, per restituirlo, finalmente al mondo. Del resto, come osservò l’Autore stesso nella premessa alla prima edizione del lavoro, senza lo straordinario rapporto con il divino che caratterizzò l’agire del civis in ogni ambito della vita, «non si potrebbero concepire né la stessa esistenza fisica di Roma, né il millenario ciclo della sua civiltà»[6]. L’esame dell’apparatus sacrorum romano, non si arrestava a ciò solo. Nella parte centrale e, certo, più densa del suo lavoro, Renato Del Ponte analizzava i principali Dèi in relazione ai sacerdozi della res publica romana. A partire dal rapporto tra il Rex sacrorum e Giano, il divino “iniziatore” per eccellenza passando per Giove Ottimo Massimo, colui che presiede ai sacra (i riti) e agli auspicia (i segni della sua volontà) del populus Romanus Quirites e che vengono resi noti alla civitas per mezzo dei suoi interpreti – siano essi, a seconda delle epoche, le massime autorità civiche, insieme all’augusto consesso dei patres et conscripti, ovvero i diversi gruppi sacerdotali specialistici dei Pontefici, Flamini, Auguri o Feziali, Epuloni e Viri sacris faciundis. Sono proprio queste figure cui Renato Del Ponte poneva speciale attenzione – giungendo così sino a Marte e alle altre presenze divine archetipiche che ressero i destini dell’Urbe, con un’indagine, per molti aspetti, inedita su Venere e Veiove. Ben memore della lezione del dotto giurista e pontefice massimo Quinto Mucio Scevola – pel quale «esistevano tre generi di tradizioni intorno agli Dèi: il primo che discende dai poeti, il secondo dai filosofi, il terzo da coloro che sono alla guida della comunità politica. Il primo genere egli dice essere uno scherzo senza importanza perché con esso si immaginano intorno agli Dèi molte cose sconvenienti; la seconda che non si addice alle comunità politiche, perché contiene elementi inutili e anche alcune cose che non è opportuno siano conosciute dal popolo» – lo studioso genovese aveva liberato di ogni pregiudizio, orpello o elemento inutile, il cultus deum, per dirigere l’attenzione ai suoi elementi principali, nella loro nuda essenza. Renato Del Ponte, nella seconda parte dell’opera, aveva saputo così gettare fasci di luce inediti, correggendo diversi luoghi comuni della scuola primitivistico-magica o colmando lacune presenti anche nei manuali più recenti. A differenza di molte ricerche sulla romana religio, Renato Del Ponte, non appariva interessato a esplorare il savoir faire rituale romano o l’ortoprassi cultuale (per quanto nell’opera non manchino i cenni al tema), né a porsi all’interno della dialettica degli studi più recenti – oggidì dominata dal dibattito tra l’idea della polis religio cara a John Scheid (posizione, peraltro condivisibile sotto molti aspetti e non priva di intuizioni assai felici) e quella di Jörg Rüpke che privilegia, invece, l’aspetto dinamico e universalistico di una religione, come quella dell’epoca del principato, che sarebbe stata aperta alle influenze del mondo mediterraneo, sino a divenire altra rispetto alla sua forma prisca – quanto a cogliere e intendere il savoir penser del civis romanus, il suo modo di essere e porsi, anzitutto interiore, nei confronti del rapporto con il divino e con l’agire umano, indissolubilmente legati tra loro: dall’uso del cibo sacro, al mistico esercizio del bellum, cui Renato Del Ponte dedicava la parte terza del lavoro. Il riscontro del pubblico era stato eccellente: mentre l’opera andava esaurendosi, proprio la volontà dei lettori, ribaltando il giudizio della giuria, valse a Renato Del Ponte l’attribuzione del prestigioso premio letterario Internazionale “Isola d’Elba-Raffaello Brignetti”.

4. – Pietate ac religione omnis gentis nationesque superavimus

La bontà e originalità di quel lavoro non avevano mancato di destare l’attenzione del mondo accademico, talché il Professore Pierangelo Catalano, cui Renato Del Ponte fu sempre legato da un rapporto di particolare stima e collaborazione, aveva voluto che lo studioso genovese partecipasse a numerosi convegni internazionali per il ciclo “Da Roma alla terza Roma” svolti sotto l’egida del CNR o alle giornate organizzate dall’Università La Sapienza in collaborazione con il CNR nell’ambito del ciclo dei Seminari Internazionali di Studi Storici, ovvero, ancora, ai Seminari russo-italiani di Studi Storico-giuridici dell’Università di Sassari. In quest’ambito, Francesco Sini (cui ugualmente lo legava un vincolo di simpatia e apprezzamento reciproci) aveva aperto le porte della rivista Diritto @ Storia alla pubblicazione di diversi contributi dello studioso genovese[7]. Nel 2008 diventerà membro della Società italiana di Storia delle Religioni. Va da sé che quelle esplorazioni si sono accompagnate nel corso del tempo con altre ricerche e approfondimenti, poi apparsi in numerosi articoli e relazioni, pubblicati hic et inde. La maggior parte è stata raccolta in due crestomazie La Città degli dei. La tradizione di Roma e la sua continuità e “Favete Linguis! Saggi sulle fondamenta del Sacro in Roma antica[8]. Mentre in questa sede non è possibile ricordare, nei suoi particolari, quest’imponente opera complessiva, spaziando essa dalla ricerca sul lessico sacrale latino, al simbolismo dei templi, dalla pubblicazione, con cadenza annuale, di un Kalendarium, accompagnato da una breve monografia con tematica diversa in ogni diversa edizione, basato sulle antiche festività romane, al commento e traduzione di diversi autori classici, qui ci piace rammentare l’interesse e l’approfondimento verso la figura di Quinto Aurelio Simmaco e i suoi tempi. Da quell’indagine, ancora una volta in gran parte inedita e originalissima, Renato Del Ponte aveva tratto una convinzione chiara: il cultus deum nella sua forma arcaica e prisca, nonostante il giungere a Roma di diverse tradizioni orientali, non solo non era mutato e non ne era stato, sostanzialmente, influenzato, ma possedeva ancora uno straordinario vigore e forza che solo la politica repressiva delle autorità cristiane – tema spinoso e complesso, che egli aveva saputo affrontare scevro da eccessi o giudizi affrettati – aveva finito, solo apparentemente, con lo stroncare. Eppure un filo, anche operativo, per quanto sotterraneo, di quella tradizione era giunto a noi, com’egli testimonierà (e ricostruirà) ne “Il movimento tradizionalista romano nel ‘900” avendo come punto d’arrivo il Risorgimento italiano e gli anni dell’irredentismo che precedettero (o seguirono, immediatamente) lo scoppio della prima guerra mondiale[9]. La chiarezza di vedute, la pietas che lo accompagnavano in ogni suo sguardo, gesto o parola, la fermezza nella difesa dei valori della romanità, libera da ogni fanatismo, sono note a chi ebbe la ventura di conoscerlo e frequentarlo, come lo scrivente. Nel congedare questo ricordo, restano, dunque, le sue parole, rivolte a tutti coloro che rimangono uniti dal comune amore e interesse per la tradizione di Roma antica: o meglio, com’egli indicava, «di Roma eterna, dal momento che non destinati a perire sono l’insegnamento offerti da Roma all’Italia e al mondo (nonostante anche lunghi periodi di offuscamento e imbarbarimento) e il suo mito è destinato continuamente a risorgere, come l’Antica Fenice, dalle sue ceneri, in quanto riposa nella mente feconda degli dèi archegeti della nostra terra»[10]. In questo senso, Renato Del Ponte, Magister vitae ac studii, sopravvive e sopravvivrà ancora per molti eoni di tempo al suo cammino terreno.

[1] Dell’Evo medio, Renato Del Ponte si occupò anche in seguito, cfr. ora la raccolta dei suoi saggi dedicati al tema, apparsa, nel 2021 con il titolo “Il grande Medioevo. Saggi medievistici e rinascimentali”, Ed. Arya, Genova.

[2] Per le edizioni Il Basilisco, Genova 1987. Poi apparso con il titolo Q. A. Simmaco, In difesa della Tradizione, Edizioni Arya, Genova 2008.

[3] Genova, Ecig, 1985; seconda edizione (riveduta e ampliata) 1988; terza edizione 1998; quarta edizione (riveduta ed ampliata): Edizioni Arya, Genova 2020; rammentiamo anche, in ambito di tradizioni italiche l’opera, I Liguri. Etnogenesi di un popolo, Ecig, Genova 1999; seconda edizione dicembre 1999, Ecig Genova; terza edizione (riveduta ed ampliata): Edizioni Arya, Genova 2019.

[4] Citiamo dalla quarta edizione di Dei e Miti Italici, 99-100.

[5]La Religione dei Romani, Milano, Rusconi, 1992; seconda edizione (riveduta ed ampliata): Edizioni Arya, Genova 2017.

[6] R. DEL PONTE, La Religione dei Romani, cit., 9.

[7]Aspetti del lessico pontificale: gli indigitamenta, in Ius Antiquum-Drevnee Pravo 5, (Mosca) 1999, 154-160; pubbl. anche in Diritto @ Storia. Rivista internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana 1, maggio 2002 = http://www.dirittoestoria.it/tradizione/R.%20Del%20Ponte%20-%20Aspetti%20del%20lessico%20pontificale.htmE nos Lases iuuate”. I Lari nel sistema spazio-temporale romano, in Diritto @ Storia 2, marzo 2003 = http://www.dirittoestoria.it/tradizione2/Del-Ponte-Lari.htmSantità delle mura e sanzione divina, in Ius Antiquum-Drevnee Pravo 13, (Mosca) 2004, 10-18; pubbl. anche in Diritto @ Storia 3, maggio 2004 = http://www.dirittoestoria.it/3/TradizioneRomana/Del-Ponte-Santit%E0-delle-mura.htmDocumenti sacerdotali in Veranio e Granio Flacco: problemi lessicografici, in Diritto @ Storia 4, novembre 2005 = http://www.dirittoestoria.it/4/Tradizione-Romana/Del-Ponte-Documenti-sacerdotali-Veranio-Granio-Flacco.htm (poi compreso nel volume R. DEL PONTE, Favete linguis!, Arya Edizioni, Genova 2010, 58-75); Giove Capitolino nello spazio romano, in Diritto @ Storia 5 (2006) = https://www.dirittoestoria.it/5/D-&-Innovazione/Del-Ponte-Iuppiter-spazio-romano.htm (poi compreso nel volume R. DEL PONTE, Favete linguis!, cit., 31-48); L’Imperatore Pontefice Massimo e il promagister (fino al V secolo) inDiritto @ Storia 10, 2011-2012 (Comunicazione presentata nel «XXXI Seminario Internazionale di Studi Storici “Da Roma alla Terza Roma”: «Libertà religiosa da Roma a Costantinopoli a Mosca» (Campidoglio, 20-21 aprile 2011) https://www.dirittoestoria.it/10/D&Innovazione/Del-Ponte-Imperatore-pontefice-massimo-promagister.htmL’asylum di Romolo: da schiavi a cittadini romani, inDiritto @ Storia 14, 2016 https://www.dirittoestoria.it/14/memorie/Del-Ponte-Asylum-Romuli-da-schiavi-a-cittadini.htm .

[8]La città degli Dei. La tradizione di Roma e la sua continuità, Ecig, Genova 2003; “Favete Linguis!”Saggi sulle fondamenta del Sacro in Roma antica, cit.; cui vanno aggiunti, “Ambrosiae pocula” (Calici d’ambrosia), Edizioni del Tridente, Treviso 2011; Roma Amor (Roma e la sua sacralità),Edizioni Arya, Genova 2022.

[9]Il movimento tradizionalista romano nel ‘900, Scandiano, Sear, 1987.

[10]La città degli Dei. La tradizione di Roma e la sua continuità, cit., 9.

https://www.dirittoestoria.it/19/rassegne/Bianchi-Ricordo-Renato-Del-Ponte.htm